mercoledì 2 giugno 2010


Cocò

I. La ragnatela

Un vetro rotto.
Un vetro rotto nella finestra della stanza di Cocò.
Chi era stato?
Perché?
Guardò bene: una ragnatela di crepa che da un centro fitto fitto si allargava in fili sottili che scomparivano nel vetro intatto. Il sole del tramonto ci si scompigliava in mille luccichi e dava movimento a quell’intrico di schegge: strade e viottoli che dal caos della città si stendevano fino alla calma piatta dell’oceano.
Come una mappa.
Cocò era esperta di mappe, aveva nove anni e una bicicletta: già aveva imparato a leggere i movimenti dei formicai, a conoscere i mulinelli dei fossi, a guardare oltre gli spazi tra le foglie.
Nelle belle giornate primaverili si lanciava alla scoperta delle campagne inesplorate, con il sole in faccia e i capelli sciolti. Le avventure invernali cominciavano sempre con salti sul letto per finire in vittorie gloriose su nemici invisibili.

Si mise di buona lena faccia al vetro. Teneva un occhio fermo al centro, sulla città. L’altro occhio saltava da un limite all’altro, ad ispezionare i confini.

Finchè con un respiro e un salto si trovò dentro.



II. La città

La città era tutto uno scroscio mescolato di rumori e di luci. Non si sentivano gocce di pioggia, ma Cocò passandosi una mano tra i capelli sentì che erano bagnati. Camminava in una nebbiolina che non si vedeva davvero, ma c’era e cancellava gli spigoli dei palazzi. Forse era appena piovuto perché un sacco di gente andava e veniva ancora con gli ombrelli aperti.
Chi camminava solo.
Chi in due, abbracciati.
Qualche ombrello ne teneva sotto tre che si spintonavano per stare al centro.

Cocò era divertita, immaginava che fosse una danza di nobili in frac in suo onore e cercava di parteciparvi correndo con loro, facendo piccoli inchini con la testa di lontano. Un passo dopo l’altro gli ombrelli prendevano un movimento morbido, girando su se stessi, vicini e lontani, tenendosi per il manico. Sapevano che ci vuole pazienza per galleggiare sulle onde che partono dal tramonto e ti servono la sera bianca di spuma.
Quando cominciò a fare buio si accesero delle piccole luci anche dentro gli ombrelli, che per un istante si fermarono per uno sfiato. Cocò li salutò tutti con un solo movimento di mano, poi se li lasciò alle spalle. Svoltando in una piccola via si trovò davanti ad un negozio di scatole vuote. Si chiamava “Pensieri di Cocò”.

“Cocò sono io!” pensò lei.
“Come si permettono di vendere le mie idee?”
“Non vendiamo niente qui.” Era il negoziante: un ragazzino dalla faccia a muso di volpe. Salopette, camicia bianca col colletto inamidato, berretto puntato alle 23. Mani in tasca.
“Chi vuole entra e guarda. Gratis.”
“E chi vi ha dato il permesso?”
“Cocò!”
“Ma Cocò sono io!”
“Allora ce l’hai dato tu…”
“Figurati!”
“Entra e vedrai.”



II. Dentro o fuori


Dentro era tutto un disordine di scaffali, ripiani, cassetti, mensole, comodini.
Ovunque c’erano scatole.
Solo scatole.
Tutte di latta dipinte di colori leggeri: azzurro zucchero, bianco corallo, rosso sparito e giallo liperlì.
E non ce n’era una uguale all’altra.


“Beh?” Chiese Cocò. “Io queste scatole non le ho mai viste.”
“Devi guardarci dentro.”
“Ma son vuote!”
“Non devi guardare dal coperchio, devi trovare lo spiraglio.”
Infatti ad essere davvero attenti, si scopriva che ogni scatola tra le decorazioni aveva una fessura nascosta, una macchiolina nera a forma talvolta di serratura, talvolta di mezzaluna. Ma anche zampa di gallina o chicco di caffè.
Cocò appoggiò l’occhio su una scatoletta, un piccolo portagioie ricoperto di raso rosso con una serratura modello ‘vecchio scrigno’. Non appena l’occhio si abituò al buio, cominciò a vedere delle lucine agli angoli in fondo. Come delle lucciole. Poi, un po’ più a destra, un fosso che scorreva e lasciava odore d’estate. La corrente dondolava una flotta di foglie secche dirette a gonfie vele verso spiagge di terra e polvere. Tutt’intorno grilli. E un albero dalle braccia ampie, con i rami chiari e le foglie scure. Tra le fronde più alte c’era una casetta di legno con sopra il tetto una bandiera a pois: con il vento che la stuzzicava, anche i pois sembravano saltellare ognuno per conto suo, chi su e chi giù, al ritmo del circo delle pulci. Appena sotto, ben piantata sul ramo, c’era lei, proprio lei, Cocò.
Staccò subito l’occhio: era nel negozio.
Tornò alla scatoletta: sull’albero d’estate.
Fuori: negozio.
Dentro: albero.

“Fuori e dentro non c’entrano.”
“Come?”
“Perché lì dev’esser dentro se sei fuori su un albero e qui fuori se siamo dentro il negozio?”
“Senti… Come ti chiami?”
“Red.”
“Red non confondermi che già faccio fatica a capire tutto questo.”
“Non c’è niente da capire, solo guardare…”



IV. Lanterne

Cocò prese un’altra scatola. Una un po’ più grande, bianca, con due maniglie e una linea nera che la divideva in due parti. Al centro del coperchio uno spiraglio nero, tondo perfetto, invitava a buttarci l’occhio.
Dentro: un giardino.
Un parco nel centro di una città, nel bel mezzo di un pomeriggio. Tutte le
strade della città portavano lì e fiumi di persone si riversavano nel verde. Da lontano si sentiva una banda suonare stonata a festa. Cinque o sei clown, coi capelli cotonati e il naso all’insù, si muovevano lenti e sfiorandosi si lanciavano un enorme pallone bianco.
Tutta la gente che arrivava portava una piccola lanterna bianca e l’appendeva su fili del bucato tesi attraverso tutto il campo. Come un pentagramma disordinato pronto a riempirsi di una canzone fatta di fischi, tamburi e tricchetràc.
A Cocò sembrò di esserci già stata a saltare in quel mercato di meraviglia. Infatti si vide tra gli schiamazzi di tutti gli amici suoi, spruzzi d’acqua e capriole. Fece per raggiungerli ma una mano la trattenne per la spalla.

“Red, ancora tu! Che ci fai qui?”
“Mi hai chiamato tu.”
“Io? Sei bravo a trovare scuse e a scaricare le colpe, eh?”
“Non cercavi un sasso da vetro?”
“Si dice DI vetro, non DA vetro. No, non mi interessa, che me ne faccio?”
“Mi sembrava me l’avessi chiesto… comunque io intendevo proprio DA vetro. Di quelli che si raccolgono nella ghiaia, vicino alle case piene di finestre.”
A Cocò si illuminò lo sguardo.
“Sì! Bravissimo! Cercavo proprio quello. L’hai visto?”
Dalla tasca Red tirò fuori un bel sasso arrotondato, di quelli che stanno giusti giusti in una mano.
Né troppo leggero (che vola alto ma non lungo), né troppo pesante (che in tasca smolla i pantaloni).
“Dove l’hai trovato?”
“Dentro una lanterna.”
Cocò staccò una lanterna, trovò la macchiolina nera e ci si tuffò con l’occhio.
Una vertigine, come quando si cade.
Tutto buio.
Né il sasso, né una luce, né un suono.
Solo lei e un grosso sbadiglio.


V. Andata e ritorno


Suonò la sveglia.
Il sole diceva che era estate, ma la mamma dalla cucina urlava che bisognava andare a scuola ed era tardi. Cocò aveva ancora sonno. Sbadigliò ed improvvisamente si ricordò di… No. Il vetro era lì bello e giusto: non una crepa, nemmeno un segnetto.
Cocò si alzò per vestirsi, le andava di mettere gonna e maglietta bianca. Anche il cappellino, con l’unghia spostata un po’ sulla sinistra. Sul comodino c’era la scatoletta in cui raccoglieva le sue ricchezze: biglie, pezzi di gesso, fotografie, borotalco.
La aprì.
Dentro c’era un sasso arrotondato, di quelli che stanno giusti giusti in una mano. Né troppo leggero (che vola alto ma non lungo), né troppo pesante (che in tasca smolla i pantaloni).
E un biglietto: “Per quando vuoi tornare.”

Dalla radio della cucina un fischio diede il via a una canzone.


PROMENADE
(Testo e musica Nicola Cazzalini)




Foto: Ilaria Lamanna



nicola.cazzalini(at)gmail.com